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BIOGRAFIA DI BRUNO SCAGLIA
1921
Nasce a Pontevico (Brescia), l’11 Novembre.
   
1939
Interrompe la scuola di disegno presso lo scultore Domenico Lusetti; viene inviato sul fronte russo, ove si ammala.
   
1943
Segnato nel fisico da un male che non lo avrebbe più lasciato, soggiorna in un sanatorio a Borno – ove entra in contatto con altri pittori convalescenti – per riacquistare energie.

Ritorna a Pontevico e riprende le lezioni con Lusetti; allaccia rapporti con giovani artisti bresciani (Grasso Caprioli, Cenedella, ecc.) ed inizia a dipingere.
   
1953
Espone il dipinto La vecchia segheria di Borno al Premio Brescia 1953, tenutosi nel Palazzo della Loggia a Brescia.
   
1957
Espone un dipinto (Riflessi) e vince una medaglia d'argento al 3° Premio di pittura "Amedeo Modigliani", tenutosi a Livorno nella Casa Comunale della Cultura.

Partecipa - con il dipinto Riflessi - alla XX Biennale Nazionale di Milano tenutasi nel Palazzo della Permanente, a Milano.

Partecipa - con il dipinto Riflessi sul fiume - al 3° Premio di Pittura "Orzinuovi", tenutosi nelle Scuole Elementari di Orzinuovi.
   
1958
Personale alla Galleria Alberti (Brescia).

Partecipa - con il dipinto Notturno nel porto - al 4° premio “Orzinuovi” di pittura, tenutosi nelle Scuole Elementari di Orzinuovi.

La personale presso la Galleria Alberti è recensita dal quotidiano Giornale di Brescia, che - in un articolo firmato da Elvira Cassa Salvi - scrive:

“Alla Galleria Alberti Bruno Scaglia, bresciano, è per i bresciani un’autentica rivelazione. Se c’è una poetica dell’astratto-concreto queste di Scaglia sono opere che la esemplificano con una forza e una spontaneità non certo comuni.
[…] Ciò che colpisce, soprattutto, nell’arte di Scaglia, è il senso insolitamente naturale e istintivo del suo astrattismo. Tanto più raro quando si pensi all’impressione di sforzo, di costruito e di cerebrale che si riceve spesso dalle opere di questa tendenza essenzialmente elaborata e riflessa. L’immagine naturalistica appare in lui filtrata come attraverso un prisma, capace di afferrarne le sfaccettature più sottili e la mirabile ricchezza di inflessioni cromatiche.
E’ tutto un gioco di riflessi e di trasparenze. Sembra di rivedere con occhio nuovo la magia delle luci marine o notturne (Allegoria del mare, Notturno nel porto), l’incanto misterioso e cupo del bosco, le armonie bruciate dell’autunno. E’ come se la visione del pittore avesse il potere di dischiudere la superficie serrata delle cose in cangianti ventagli tra le cui pieghe si sgrana tutta una gamma di modulazioni riposte e segrete. Sono ali variegate, ruote di uccelli favolosi che si aprono a pavone.
Il mosaico di Scaglia sa esprimere le tonalità più fonde e preziose, quasi inafferrabili: alghe e muschi, terra e ombre di un azzurro scuro come nelle Rocce e vegetazione a Portovenere."

   
1959
Partecipa alla Biennale Nazionale di Verona.
   
1960
Personale alla Galleria Alberti (Brescia).

La mostra è recensita dal quotidiano L’Italia, che - in un articolo firmato da Lorenzo Favero - scrive:

“Bruno Scaglia da Pontevico, espone per la seconda volta alla Galleria Alberti. Alla prima sua personale era stato presentato da Lusetti.
Allora, se ben ricordo, i suoi quadri erano di vaste dimensioni e quasi tutti in chiave di azzurro. La mostra attuale offre un concerto piuttosto cupo e drammatico: tonalità potenziali; colori bruni e neri in amalgama, materia alta, pesante, con stesure decise, con alti bordi rilevati fra colore e colore, fra zona e zona. Qualche tela dà persino l’impressione di una tavola lavorata ad intarsio, vecchia tavola uscita dalle antichità umide e fredde di un convento e incorniciata sommariamente per assumere valori di pittura.
[…] Bruno Scaglia è, forse, il più romantico dei nostri pittori astratti; la sua pittura è la pittura di uno che soffre, che cerca conforto nella profondità arcana del colore. La sua pittura non ha forma; guai se il tessuto del pigmento non fosse vigoroso e pesante. Talvolta affiora la parodia del passato, nella tradizione della forma, ma non vien rinnegato il contenuto di una poetica universale, anche se, apparentemente, cioè dal punto di vista figurativo, il racconto manca.
Tutto è affidato dunque al colore e miglior commento a questa pittura non possiamo trovare che riportando la parole di Gauguin: «La couleur étant elle-même énigmatique dans les sensations qu’elle nous donne, on ne peut logiquement l’émployer qu’enigmatiquement».”

   
1961
Personale al Centro Artistico S. Babila (Milano).
   
1962
Personale alla Galleria A.A.B. (Brescia).

La mostra è recensita - in data 18 Aprile - dal quotidiano L’Italia, che (in un articolo firmato da L. Calzavacca) scrive:

“Ancora una volta il pittore Bruno Scaglia si presenta a Brescia con una raccolta di quadri veramente interessanti.
Quasi due anni fa, alla galleria «Alberti», la sua mostra personale aveva destato tra gli appassionati d’arte, una grande curiosità, trattandosi di un pittore di provincia, aperto alle «cose» astratte, già formato artisticamente e reduce da importanti esposizioni nazionali.
Anche Scaglia trae la sua espressione pittorica dalla natura, sintetizzandola nel proprio spazio e tempo che non sono altro che degli aspetti diversi di una stessa ed unica sensazione visiva.
La ricerca di Scaglia trasforma la natura in materia-colore, la quale non potrebbe essere compresa altrimenti che con l’assenza di una considerazione formale. Una natura che si intravvede completa ed intima nella sua essenzialità.
[…] Quello che si ritrova di più vero, è proprio quell’urgenza folta della composizione, ritagliata, con luci ed ombre che riesce a suggerire l’idea di una forte commozione naturalistica. Allora si tratta davvero di dipinti che paiono incisi con facilità di colore, con forza scabra.”

   
1966
Personale alla Galleria A.A.B. (Brescia).

La mostra è recensita - in data 6 Marzo - dal Giornale di Brescia, che scrive:

“Bruno Scaglia ha già offerto a Brescia negli anni passati belle mostre ove trionfava il suo vivacissimo senso del colore. I colori di Scaglia sono i colori che si accendono nei campi, nei boschi, nel cielo della sua terra, la campagna bresciana; ma assumono d’altronde la dignità e la raffinatezza di un discorso pittorico legato a grandi esperienze moderne, tra fauvismo e espressionismo […].
Merita notare […] la frequenza di piccoli quadri ove il fare di Scaglia assume un carattere […] sciolto, come in felicissimi bozzetti o in impressioni di straordinaria intensità coloristica. E merita accennare ancora alla presenza, anch’essa nuova, se non ricordiamo male, di alcuni elementi figurativi tratti dal mondo animale, che introducono nella pittura di Scaglia una vena surrealistica, (pur nel saldo legame naturalistico), suscettibile di suggestivi sviluppi.”

   
1971
Antologica (opere 1950 - 1970) alla Galleria San Michele (Brescia).

La mostra è recensita - in data 30 Marzo - dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato da Elvira Cassa Salvi) scrive:

“Nella personale dell’ormai lontano ’58 alla «Galleria Alberti» Scaglia appariva sull’orizzonte bresciano come rivelazione.
Nessun altro ha saputo portare tra di noi una così sincera, intensa e personale interpretazione di quella poetica dell’astratto-concreto, legata all’Ecole de Paris, che rappresentava ancora in quegli anni, in provincia, soprattutto, la punta dell’avanguardia. Nella sfaccettatura raffinata e preziosa dei suoi quadri, sgranati come cascate di cristalli variopinti, non solo non appariva sforzo o artificio, ma si avvertiva anzi lo sgorgare di una vena schietta. Alla natura infatti era legato inscindibilmente quello che poteva apparire l’astrattismo di Scaglia. Tutto l’arco centrale dell’esperienza di Scaglia - da buon figlio della terra, della campagna - affonda le sua radici ben dentro l’humus nativo.
E Scaglia è rimasto fedele a lungo, secondo il ritmo lento e profondo dei cicli della natura alla sua versione dell’astratto-concreto. Anche la mostra ultima del ’66 all’A.A.B. si manteneva in quella direzione.
La mostra attuale alla S. Michele presenta da un lato, per la prima volta, alcuni piccoli paesaggi pre-astratti che sono l’espressione originaria della vocazione pittorica di Scaglia; dall’altra, all’estremo opposto, il frutto delle sue ultime ricerche. E’ una piccola antologica completa.
I paesaggi piccoli del ’50, dipinti con mezzi di fortuna in un momento difficile della vita dell’autore, sono rivelazioni importanti del suo modo di avvicinarsi al mondo e alla natura. Scaglia è già al di là, in fondo, dell’impressionismo e del postimpressionismo. La sua visione è sintetica, composta di zone cromatiche appena delimitate da contorni lievi. Ha la freschezza, la poesia gentile e ingenua, il tenero incanto della prime passioni.
Lo scorcio di miniera è senz’altro uno dei quadretti più espressivi, denso di un umanissimo sentire nella sua rappresentazione tra squallida e un po’ naive.
Nel ’58, secondo la cronologia offerta dalla mostra, è l’esplosione di quel cromatismo astratto-concreto che ha costituito fino ad ieri l’espressione più tipica della personalità di Scaglia. Ma nel ’69 c’è una svolta nel suo lavoro. Il pittore non può arrestarsi ed esaurirsi nella modulazione indefinita di una formula felicissima e ricca di frutti squisiti quale è stata la sua fino a poco fa. Agli incanti inesauribili della natura subentrano ora i turbamenti, le suggestioni, anche il fascino delle ultime conquiste tecnologiche.
Si direbbe che la crisi profonda e irreversibile del naturalismo astratto si determini in lui intorno agli anni settanta. Partiture, scansioni geometrizzanti, tracciati labirintici entrano nel tessuto coloristico e vi si insediano; vi introducono non solo il loro ritmo, la loro pura funzionalità pittorica, ma anche un nuovo sentire segnato dall’artificio meccanico, dalla rigida stilizzazione delle strutture, dei progetti più o meno fantascientifici. La materia pittorica, come se il contatto con il freddo rigore di quelle impalcature provocasse un brivido invincibile, si altera, si disfa, si fa, anche nel ritmo, elettrica, febbrile. Una scossa vi corre, un tremito, un dinamismo che ricorda da un lato alcuni accenti futuristi, e dall’altro il segno furente di certo realismo espressionistico americano (Petlin per es.). Quanto sono luminosi, calmi, contemplativi, nutriti di una pasta densa e gustosa i colori della maniera naturalistica, tanto sono mobili, fuggenti, vorticosi quelli della nuova maniera. Anche la tecnica è cambiata. Alla spatolata succosa è subentrato un turbinio di tratteggi variopinti, rutilanti come girandole velocissime. Ciò che trionfa è sempre il colore, squillante, vivo, gioioso. Da questo lato il Grande progetto si impone come una vetrata sfolgorante […]."

   
1974
Collettiva alla Galleria A.A.B. (Brescia).

La mostra è recensita – in data 15 Febbraio – dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato da Elvira Cassa Salvi) scrive:

“ […] le opere di Bruno Scaglia […] appartengono ad anni ormai lontani, quelli della sua stagione aurea, in cui egli ha dispiegato le doti migliori. Sono opere che, malgrado il passar del tempo e delle mode, non perdono nulla della loro intensità espressiva. Del colorismo di ispirazione naturalistica di Scaglia – angoli di bosco, di mare, di pascolo; riflessi di sole al tramonto, tra gli alberi o in uno stagno, ecc. – abbiamo scritto più d’una volta senza risparmio di apprezzamento e di lodi. I riferimenti alla poetica dell’astratto-concreto, da Birolli a Morlotti, sono assimilati e filtrati con un senso immediato e personale della figurazione naturalistica.”

   
1975
Personale alla Galleria Magenta (Brescia).

La mostra è recensita - in data 2 Febbraio - dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato da Elvira Cassa Salvi) scrive:

“Abbiamo sempre seguito con particolare interesse e apprezzamento il lavoro di Bruno Scaglia, fin dai suoi primi passi. Le sue mostre, distanziate nel tempo, proprio in rapporto alla serietà e all’impegno da lui applicati nel suo lavoro, sono sempre state tappe degne di rilievo nella vita artistica della nostra città.
Non occorre dunque ripetere qui ciò che siamo andati via via scrivendo su quella caratteristica e felice interpretazione della poetica dell’astratto-concreto, con risultati certo tra i più liricamente ispirati di tutta quella vasta corrente.
[…] Eccolo dunque ritornare oggi («Galleria Magenta») alla sua primitiva ispirazione. Di nuovo è nei suoi quadri l’esplosione di un cromatismo vivace, tuttavia in forma più frantumata e rimescolata, quasi puramente astratta come in un caleidoscopio dai minutissimi frammenti. Le scansioni geometriche che costruivano sulla scala di armoniose gamme musicali le sue immagini di boschi, mari, cieli, velieri, sembrano per lo più esser sopraffatte, triturate dal vortice coloristico. Comunque questa è una prima fase del ritorno di Scaglia alla fonte prima della sua pittura e non può non portare i segni dei grandi sconvolgimenti storici e artistici avvenuti intorno.”

   
1976
Partecipa all’importante mostra 10 artisti bresciani, tenutasi nella Künstlerhaus di Vienna.

In data 10 Aprile 1976, il quotidiano Giornale di Brescia scrive:

" […] dieci artisti bresciani […] sono stati invitati dalla Künstlerhaus di Vienna dove dal 13 al 29 aprile verrà allestita una grande mostra che occuperà ben dieci sale dell’imponente e modernissimo centro artistico, proprio nel centro della capitale austriaca.
[…] i promotori austriaci hanno chiesto di poter ospitare le opere di dieci artisti bresciani […].
[…] la rassegna è già stata presentata a Vienna come un avvenimento artistico di prim’ordine; è stata curata una pubblicazione con note critiche dell’inglese Clive Foster. L’allestimento della mostra è stato affidato all’architetto Bruno Fedrigolli, le traduzioni dei testi di presentazione sono della signora Dagmar Trebeschi Kepplinger ed i copyright di Marilina Boccato”.

Nel testo del catalogo pubblicato in occasione della mostra, il critico Clive Foster scrive:

“Dal 1943 Bruno Scaglia insegue una vocazione in cui istinto e riflessione si concentrano nella stessa opera, fin dal suo primo apparire alla coscienza dell’artista.
Il suo modo di avvicinarsi alla natura, di prenderne e di renderle, viene da una adesione immediata, ma nello stesso tempo da un approfondito raccoglimento: i suoi soggetti, sorta di «apparizioni» astratte della campagna lombarda o della costa ligure, sono immersi in un vero vortice di acuta osservazione.
La elementarietà «ugualitaria» degli elementi di questa pittura è sempre calata in un senso di oggettività che rende loro di volta in volta la individualità necessaria.
Non manca mai il riferimento ad un paesaggio, l’ultimo sole che tramonta in autunno, un fiume con alberi sulle sponde, cespugli, qualche ricordo del mare, vele nel porto: ma gli argomenti vengono circondati da una penombra di colori imparentati, posti contro sfondi variati con sottile maestria ed è appunto con questo «di più» del colore (e Scaglia è un vero maestro in proposito) che diventano fenomeni densi, pieni, concentrati in accostamenti imprevedibili.
Ogni colore, ogni tono, ogni tratto si inserisce nella composizione in modo talmente istantaneo che ci si accorge che l’intera opera sta sotto un serio controllo fin dal primo segno.
Una pittura dunque emotiva e intelligente, che ha seguito un suo sviluppo, ma senza trasalti: nell’ambito della stessa tematica, è piuttosto l’impiego del colore che segna l’evoluzione.
I più concentrati cupi colori tonali che prevalsero alcuni anni fa, sono stati invasi e ultimamante soppiantati da riflessi brillanti, vivaci, di una raffinatezza esperta; e parallelamente è venuto crescendo un tono più penetrante, un effetto più enigmatico: nell’insieme si è accentuata una proposta di equilibrio.
Il discorso pittorico di Scaglia è afferrabile per le stesse vie, con l’intuito altrettanto che con la riflessione: c’è nelle sue opere l’attrazione radicale del colore che trionfa, un senso caldo del colore che si distende; ma lo stile è solido, attendibile, sorretto da una tecnica raffinata. Le effettive quantità dell’insieme rilevano, sotto quelli cromatici, accordi più profondi e complessi.”

   
1978
Personale alla Galleria d’Arte l’Incontro (Brescia).

La mostra è recensita - in data 12 Aprile 1978 - dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato da Elvira Cassa Salvi) scrive:

“Bruno Scaglia espone alla galleria «L’Incontro» a tre anni di distanza dalla sua precedente mostra [...]
Si tratta dunque di opere dell’ultimo biennio, ma come per un’insegna Scaglia espone un’opera del ’67: Grande albero rosso. Quasi per un’insegna, perché tutta la mostra è caratterizzata dalla più incondizionata fedeltà alla poetica di quel cromatismo naturalistico dalla quale è partito, avvalendosi delle suggestioni dell’«astratto-concreto».
Astrattismo espressionista potremmo anche dire: se si guarda alla intensità e alla qualità delle tonalità cromatiche. Su questo terreno non possiamo qui aggiungere nulla a quanto abbiamo ripetutamente scritto. Conviene sottolineare, forse, l’accentuarsi in qualche caso della frammentazione più sottile, della grana più fine delle sue caratteristiche tessere di colore; e segnalare d’altra parte l’autentica atmosfera poetica che emana da opere come La notte, Grande composizione in rosso, Il sole illumina le vele, ecc.”

   
1984
Antologica (opere 1950 - 1984) nella Biblioteca Comunale di Pontevico (Brescia).

Nel testo del catalogo pubblicato in occasione della mostra, il critico Mauro Corradini scrive:

“ […] Le prime opere, qui esposte, sono degli inizi degli anni Cinquanta: si tratta di «paesaggi» (caratteristica costante dell’operazione artistica del Nostro), anche se non mancano alcuni interni (miniera o fabbriche). Sono opere legate al verisimile, dominate da una percezione immediata e rapida degli oggetti rappresentati. La realtà ha già subito un vasto processo di riduzione e sintesi […].
In queste prime prove, Scaglia recupera una serie di elementi caratteristici della struttura narrativa realista, pur rifuggendo dagli elementi del «tipico» e del «particolare», che sono la caratteristica del realismo nascente, dopo il Fronte Nuovo delle Arti.
[…] sta cercando la sua strada, sta sperimentando se stesso e la sua emozione di fronte alla realtà, senza definirsi né nell’ambito di una sigla stilistica, né nell’ambito di un movimento. E questo sentirsi libero nei confronti dell’immagine, ma anche nei confronti di se stesso, è una delle note distintive di Scaglia […].
[…] a 32 anni, Scaglia è già maturo.
[…] Nel 1954, Notturno a Lerici rappresenta il segno nuovo della cultura di Scaglia. […] La struttura narrativa si è ormai ridotta ad alcune linee di forza: struttura del paesaggio e struttura dell’opera coincidono; attorno a queste linee, che si muovono con andamento spiraliforme, circolare, parabolico, attorno a queste linee, dicevamo, Scaglia viene strutturando i suoi ritmi emotivi. Un punto, normalmente in alto nel quadro, diviene il «fuoco» della rappresentazione; da lì parte la luce, partono le linee-forza della struttura dominante. E, a mano a mano che ci allontaniamo dal punto focale, a mano a mano, come in una visione aerea, ci allontaniamo dalla città rischiarata nella notte, sale e cresce il nero, l’oscurità: i verdi si caricano di cupi bagliori, gli azzurri si infittiscono, fino a cedere, gli uni e gli altri, nelle gradazioni di nero che soltanto le linee portanti del quadro riescono ad equilibrare in forme regolari.
[…] Scaglia a metà degli anni Cinquanta ha ormai raggiunto una propria maturità di linguaggio, una propria sigla stilistica, ormai definita e conchiusa. E sostanzialmente non se ne sbarazzerà più […].
[…] il ritmo sinuoso ed ampio della materia pare dominare la rappresentazione (La rocca di San Fermo, 1960) […].
[…] Abbiamo volutamente «chiuso» il secondo periodo pittorico di Scaglia sull’opera […] del 1965: è il decennio dell’astrazione di struttura che si era aperto con Lerici, ma è anche il decennio più ricco dell’arte del Nostro. E’ questo il periodo in cui Scaglia compiutamente elabora la propria sigla stilistica […].
[…] L’ astrattismo di Scaglia, se di astrattismo vogliamo parlare, rappresenta dunque una semplificazione della percezione della realtà stessa. In senso proprio non dovremmo parlare di astrazione, ma piuttosto di rifrazione della luce su linee strutturali elementari, archetipiche.
Il periodo successivo, che va all’incirca fino ad anni a noi vicini, sul finire del decennio appena trascorso, è la naturale evoluzione di quanto abbiamo già visto. Ma con alcune avvertenze: in ordine, per esempio, ad una maggior «astrazione» (in senso proprio), oppure in ordine a strutture compositive più articolate, basate su accostamenti di colori primari, od ancora su immagini dagli inusitati tagli obliqui, per cui la realtà si carica di inquietudine, attraverso l’angolazione non convenzionale.
E’ ancora un periodo di ricerca, che si distende in alcuni paesaggi: qui l’emozione gioca ancora il ruolo fondamentale nel rifrangersi e nello spezzettarsi della luce; su vaste zone (rosse o blu), Scaglia dipinge il minuto brillare dei riflessi. Il paesaggio naturale (e per molti aspetti in-naturale) è ancora la dimensione in cui l’artista ama tuffarsi, sia pure il paesaggio natìo, quello della «bassa», colto soprattutto attraverso lo spessore di un albero, o attraverso lo scorrere dell’acqua in una roggia, sia, spesso, il frastagliato paesaggio ligure, luogo amato dal Nostro, luogo di memoria e di ricerca.”

   
1988
Espone quattro dipinti (Notturno a Lerici, Autunno, Campagna lombarda, La rocca a San Fermo) nella mostra Verifica: assonanze/dissonanze tenutasi nel Palazzo Monte Nuovo di Pietà (Brescia).

Nel testo del catalogo pubblicato in occasione della mostra, il critico Mauro Corradini scrive:

“[…] un artista innamorato del paesaggio, come Bruno Scaglia, rompe i ponti con la tradizione e si avvia sul cammino dell’espressionismo macerato e viscerale. Se mai, in Scaglia, c’è da sottolineare il grande equilibrio formale, il bisogno - sotterraneamente razionale - di chiudere l’immagine in rigoroso ordine. Ma l’afflato complessivo si anima di nuove lussureggianti cromie: e sono nuovi volti di questa infinita Padania, che si dispiegano attraverso il muoversi ora ombroso, ora emotivamente sofferto, delle sue pennellate. Bruno Scaglia rappresenta la vicinanza - cronologica e ideale - delle tensioni urbane e metropolitane nel tessuto della città; e dimostra come penetrassero repentinamente e con profonda rilettura individuale, quegli stimoli che altrove si elaboravano e venivano a maturazione. Non epigone, dunque, ma interprete introverso di una realtà dell’animo, di un’inquietudine che si insinua nelle dolci movenze del paesaggio, Scaglia rappresenta il segno di un mutar di clima, già nella seconda metà del decennio Cinquanta, all’interno della nostra provincia.”

   
1991
Partecipa alla mostra Florilegio (tra gli espositori: Arman, Basquiat, Birolli, Fontana, Haring, ecc.) tenutasi nella Galleria d’arte contemporanea Alberto Valerio (Brescia).
   
1992
Personale alla Galleria d’arte contemporanea Alberto Valerio (Brescia).

La mostra è recensita - in data 13 Giugno - dal quotidiano Bresciaoggi, che (in un articolo firmato da Mauro Corradini) scrive:

“Poco meno di 10 anni fa, a Pontevico, allestivamo una antologica di Bruno Scaglia, antologica “bissata” un paio di anni fa, sempre negli stessi spazi della biblioteca comunale di quel comune, che gli ha dato i natali. Sono le ultime comparse di un pittore schivo, prima del ritorno attuale in città, fino a fine giugno, nelle sale della galleria Valerio (contrada San Giovanni, 31).
[…] Valerio […] “ha regalato” al pubblico una gradita quanto preziosa sorpresa. Scaglia è un pittore che ha definito la sua immagine, all’interno di una figurazione, simbolica e risentita, alla metà degli anni Cinquanta: si era ai tempi delle discussioni tra astrattismo e realismo. Scaglia […] scelse la strada che il critico Lionello Venturi aveva definito “astratto-concreta”, una strada che non spezzava tutti i ponti con la figurazione, ma la modulava su risentimenti astratti, che emergevano attraverso lo spezzettarsi della forma; non trascurava cioè le conquiste di quelle che erano state le avanguardie storiche […].
[...] La natura - ed in questo Scaglia riconferma la sua origine ed il suo attaccamento alla terra - appare come un impeto vitalistico, che si muove e si articola attraverso le pennellate brevi e corpose, attraverso il fiorire di una lussureggiante cromia, che della natura e dei suoi prodigiosi rigogli - nonostante tutto - rappresenta l’aspetto più eclatante e persuasivo. Ormai il suo discorso, maturo e corposo, non ha certamente più le inquietudini che lo pervadevano negli anni Sessanta, alla ricerca ansiosa di una terra, da assimilare al suo ricordo, più che alla realtà quotidiana, deludente e scontrosa, come il suo vivere appartato. Ormai il suo discorso sembra scandirsi tutto sui versanti di una natura, colta nel rigoglio multicolore dei segni, così da sembrare una fioritura ininterrotta, senza forma, una sorta di magma primordiale che tutto contiene e tutto agita; sull’altro versante, attraverso l’organizzarsi delle forme, Scaglia sembra individuare alcune linee strutturali, che danno alla vegetazione il senso di uno sbocciare, di un concrescere e di un fiorire. Sia che utilizzi la spatola per aprire il ventaglio strutturale della realtà naturale, sia che, al contrario, muova quasi con forme puntiniste la realtà della natura, vi è sempre, sostanziale, il discorso di una vitalità ininterrotta ed inesausta: tale vitalità non è senza contro-canto. Nel perdersi della forma, nello sfibrarsi e nel disarticolarsi delle forme rappresentative, Scaglia viene esprimendo quella stessa inquietudine, che la vitalità delle cromie sembrerebbe negare. Il pittore di Pontevico viene dunque a rappresentare una contraddizione, tra questo pulsare di vita, pullulare di germinazioni e di germogli e, nello stesso tempo, questa disperante inquietudine evidenziata dalla perdita di centralità, dalla mancanza di un punto fermo, da cui partire per esplorare il mondo magmatico che egli rappresenta. E’ il suo modo, se vogliamo, di interpretare le nostre incertezze sul futuro e di farsi carico dei tempi che viviamo: un modo appartato, vissuto con coraggio ed in solitudine, ma anche un modo rigoroso di far fronte alle componenti pittoriche, che sono essenziali nella riflessione contemporanea. La personale di Scaglia sulla scena cittadina è senz’altro un salutare ritorno: anche perché rappresenta il distendersi di una pittura, vissuta in libertà, in presa diretta, con una forma che sembra, nonostante gli anni, tradurre i palpiti giovanili di fronte alla verità delle cose: ed è salutare lezione, che viene da lontano, dalle matrici più profonde della recente storia dell’arte."

La personale è recensita - in data 14 Giugno - anche dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato da Fausto Lorenzi) scrive:

“Da Cezanne in poi, la luce della pittura è come ingoiata dal colore, e la pittura non descrive la natura, ma è natura essa stessa. C’è lo svelamento di una luminosità interna al quadro, rappresa alla materia. Bruno Scaglia (Pontevico, 1921) è uno di quei contadini che dissodano come fosse terra la materia pittorica e la fanno emergere trafitta di luce, densa di barbagli e di umori di una vita intensa, nascosta, organica e biologica. E soprattutto, emotiva: il paesaggio è fondazione d’uno spazio d’esistenza, non esiste come descrizione ma come rifugio e coinvolgimento emotivo. C’è un sentimento della natura da consumarsi sino in fondo, tra vitalità e deperibilità delle cose, in un mistero brulicante che sembra rompere ogni forma, frantumare lo spazio e dilagare per tutto il quadro.
In realtà la tavolozza caleidoscopica e rutilante è ancorata a salde strutture segniche, a un’architettura di grande eleganza formale, che domina la luminosità frastagliata del colore come nella partitura insieme armonica e dissonante, tra trasparenze e intense opacità, di un miniatore o cesellatore barbarico, o d’un invetriatore di cattedrali.
L’incontro con l’opera di Bruno Scaglia alla galleria Valerio sembra riportarci agli anni del dopoguerra, tra il Quaranta e il Cinquanta: la pittura astratto-concreta, il gruppo degli Otto […] attorno a Lionello Venturi, l’irrompere dell’espressionismo astratto americano a lambire l’informale europeo. Ma c’è il senso d’un attraversamento pacato, meditatissimo, di lunga disciplina, d’una stagione sicuramente vissuta come una situazione romantica, di grande respiro: la densità materica - d’una materia vissuta come energia, luogo germinale - impiegata per attirare lo spettatore in un gorgo lento, come in un cammino a ritroso nella memoria, in un luogo in cui perdersi; la trapunta di scaglie luminose, in efflorescenze frastagliate, come una ragnatela ritmica che nasce e si sfalda nella luce, labirinto di sentieri sinuosi che creando un ritmo si trasforma in architettura dello spazio.
[…] C’è un occhio che pare essersi educato, a volo d’uccello, alle scansioni geometriche della pianura padana, ad una ferrea chiarezza costitutiva; ma c’è una spatola che tira su come un intonaco scheggiato a muro le forti stratificazioni cromatiche, impastate di umori di terre, di erbe e di acque. Una pittura dunque che cresce su nutrimenti terrestri (con riferimenti al naturalismo di Morlotti) ma con questo controcanto di fermezza strutturale alla deflagrazione vitalistica del gesto e del segno.
Ci son due percorsi che si incrociano, ed hanno costanti ritorni nell’opera di Scaglia. Da un lato la fedeltà a quella linea di ancoraggio del flusso di sensazioni visive ed emotive nei tasselli scheggiati e nelle rifrazioni ondose […]. Dall’altro lato c’è un’orchestrazione di ritmi di luce che si agitano in filamenti di colore: non vengono meno le costruzioni di colore stratificato, ma c’è come l’esplosione in un balletto eccitato. E’ il ritorno a Pollock ed all’espressionismo astratto americano, ma la rivisitazione non è enfatica e aggressiva, piuttosto ha una sua sequenza rituale di gesti e segni, quasi una perplessità nel labirinto dell’esistenza, a celebrarne l’irresistibile forza vitale o viceversa l’irrimediabile perdita del centro, la disperazione apocalittica.
All’artista di Pontevico va riconosciuta la precisione emotiva, per dire di un controllo che non è solo di qualità e di accordi di colore, ma anche di saper dare corpo ad una visione emotiva e spirituale. Non è facile in un tipo di pittura che può ridursi a stucchevole impalcatura decorativa, cangiante e luminescente, o che viceversa può schizzare in un automatismo viscerale e insensato. Il ritmo è invece denso e calibrato, talora come sospeso in un ascolto di tutte le vibrazioni dei sensi e dell’emozione, tra esplosioni di luci e penombre soffocate.
[…] trovo Scaglia con […] forte emozionalità lirica […] dove accende una palpitazione diffusa nella luminosità frastagliata del colore, ma in una fosforescenza da fuoco fatuo, come un’apprensione inquieta e accorata nel disvelamento del mistero della natura.”

   
1994
In data 28 Maggio, il quotidiano Giornale di Brescia dedica un articolo a Bruno Scaglia e scrive:

“ […] Da sempre l’itinerario emozionale dell’artista pontevichese è strettamente connesso alle scansioni ritmiche del paesaggio, cogliendo sfumature che rendono la pittura natura essa stessa, arricchimento di un processo rigenerativo dell’uomo. Spatolate vigorose non si limitano ad intessere una poderosa impalcatura filmica e coloristica, ma trasmettono turbamenti interiori, vittorie e sconfitte dell’individuo, che conducono alla scoperta di uno spazio incontaminato all’interno dello scenario paesaggistico. Scaglia ricerca la natura, la sente propria nei colori vitali di un mondo a lui familiare fin dall’infanzia, la sente compagna-nemica, sempre presente: egli si immerge nella natura, la accosta fisicamente traendone ispirazione, portandosi in una dimensione gravida di forza incontenibile. In molte opere si individua un nucleo focale, sorgente dalla quale scaturisce per frammentazioni successive la natura, articolata in un vortice di visioni complesse che la allontanano da stereotipi meramente descrittivi. Distruzioni e rinascite, vita e morte, malinconia assoluta si alterna ad esuberante gioia di vivere: dipingere significa per Bruno Scaglia esprimere le proprie sensazioni approfondendo e rivisitando l’interiorità di esperienze vissute con avidità poetica. Non si tratta di pittura figurativa, di lettura immediata dell’immagine, l’osservatore deve essere partecipe del sentire dell’artista, andando oltre l’irruenza di un colore intenso. Il colore è sorretto da una tecnica raffinata, ancorata a precise concezioni stilistiche, che mai si limita ad un puro manierismo formale. Bruno Scaglia riesce nella propria produzione artistica a dare corpo ad una visione quasi spiritualistica della natura, alla ricerca di una materia incorruttibile, a prescindere dagli errori umani.”

Personale nella Biblioteca Comunale di Pontevico (Brescia).

   
1996
Personale nella Scuola Elementare Statale «Cicognini» di Pontevico (Brescia).

La personale è recensita - in data 2 Aprile - dal quotidiano Giornale di Brescia, che scrive:

“Sarà inaugurata domani […] la personale del pittore pontevichese Bruno Scaglia.
A cinquant’anni dalle prime esperienze pittoriche le opere di Scaglia si pongono come un punto di riferimento importante nell’ambito dell’avanguardia pittorica lombarda.
L’arte astratto-concreta del pittore pontevichese, ben visibile nelle 30 opere esposte, trae origine da un mondo naturale scandagliato dalla sensibilità dell’artista. Non si tratta di pittura figurativa, di lettura immediata ed univoca dell’immagine. L’osservatore deve permettere alle proprie emozioni di emergere, aggiungendo nuovo pathos ad un quadro nato per dare voce ad un’interiorità in movimento. Spatolate vigorose creano scenari maestosi, manifesto di turbamenti interiori che conducono alla scoperta di uno spazio incontaminato. Il colore è sorretto da una tecnica raffinata, ancorata a precise concezioni stilistiche, che non si limitano mai ad un puro manierismo formale. Sulle tele si ritrovano paesaggi resi universali da intrecci complessi di sfumature, sorgenti dalle quali scaturisce la natura."

Muore, il 25 Luglio.

In data 27 Luglio, il quotidiano Giornale di Brescia (in un articolo firmato da M. Guerra) scrive:

“Si è spento improvvisamente giovedì al Pronto Soccorso di Manerbio, per crisi cardiaca, il pittore Bruno Scaglia, esponente di spicco dell’avanguardia pittorica lombarda.
[…] Oggi, le opere del pittore pontevichese si pongono come punto di riferimento insostituibile nell’ambito dell’avanguardia pittorica lombarda. L’arte astratto-concreta dell’artista bresciano è ben visibile in ognuna delle sue tele, segmenti pulsanti di una natura che ogni volta viene reinterpretata dall’animo poetico dell’artista.
Non si tratta di paesaggi statici, ma di vivaci affreschi che necessitano di essere mediati dai sentimenti e dagli stati d’animo dell’osservatore. Nell’ultima antologica realizzata nell’aprile scorso con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura del Comune di Pontevico, l’opera dell’artista aveva riscosso un successo senza precedenti. Scaglia, maestro del colore, lascia quadri resi dalle spatolate vigorose, frammenti di un mondo in movimento, vittima dell’uomo, ma sempre pronto a rigenerarsi, a lanciare messaggi di vita in un contesto urbano grigio, opaco, senza spiragli di luce.
[…] una vita spesa per l’arte, per la natura, per la gioia di comunicare agli altri emozioni che prevaricano i meri stereotipi formali."

In data 19 Settembre, il quotidiano Bresciaoggi (in un articolo firmato da Mauro Corradini) scrive:

“A fine luglio, rientrato da un breve week-end, tra le tante notizie accumulate sui giornali, ho trovato anche quella relativa alla morte di Bruno Scaglia, pittore di Pontevico, morto il 25 luglio di quest’anno per una crisi cardiaca.
[…] La pittura di Scaglia è eminentemente una pittura di “paesaggio”; ragioni di terra, ma anche di cultura, di temperamento, si ritrovano in questa quasi assoluta predilezione […].
Il dopoguerra è stagione troppo carica di fermenti, perché un giovane si fermi alle prime acquisizioni (anche se solide). Brescia è divisa tra “indipendenti” (tradizionalisti) ed “innovatori”; come ogni giovane, anche Scaglia guarda forse con maggior interesse alle nuove esperienze, che […] si propongono come le portatrici della modernità.
Sono le poetiche che divengono decisive per la sua storia pittorica […].
Inizia […] sul finire del decennio Cinquanta, la sua “rivoluzione”, cui rimane sostanzialmente fedele nel corso dei successivi trenta e più anni di costante attività. Sulla spinta della rivoluzione materico-gestuale in atto (quello che Venturi chiamava “astratto-concreto”), lo spazio paesaggistico del pittore subisce una frantumazione, una scomposizione […].
Con gli anni Sessanta […] si era sempre più rinchiuso nella sua Pontevico, da cui usciva raramente, e sempre per occasioni espositive.
In una evoluzione appena percettibile, anche i modi della sua pittura erano rimasti sostanzialmente stabili, solo in parte mutati: in alcune opere appariva una frantumazione delle forme (specie nel decennio Ottanta) […]: il mondo naturale […] viene scomponendosi in una miriade di frammenti cromatici, che alla fine traducono tanto il vitalismo della natura, quanto la mancanza di unità, che forse non apparteneva e non appartiene alla natura, ma rappresenta invece il modo di Scaglia di interpretare il mondo.
Il frammento, del resto, è l’elemento essenziale della stagione pittorica che Scaglia attraversa.
La natura, inizialmente letta in grandi strutture, attraverso elaborate forme, che si scompaginano e si segmentano, appare sempre più ridotta in breve spazio: dalle grandi immagini che sembrano riflettere ampi paesaggi, visti dall’alto […], Scaglia viene opponendo immagini sempre più ridotte e rinserrate: l’albero solitario, il cespuglio, solo a volte il bosco.
Tali elementi della natura, colti nei colori squillanti della primavera che si espande nelle succose cromie dell’estate, appaiono come se fossero scanditi in strutture geometriche: spesso, in questa operazione di schematizzazione, Scaglia utilizza la spatola che lo aiuta a dar forma compatta al suo segno, lo aiuta a definire le forme della natura in elementi geometrici.
La scomposizione non consente tuttavia alla forma di perdersi: essa viene comunque ridotta entro ambiti riconoscibili, dal momento che Bruno Scaglia appartiene a quell’ultima generazione di pittori che si rispecchia in una realtà, di cui si sente interprete.
Sarebbe tuttavia miope non leggere in questa riduzione della natura ad elementi particolari, limitati, in questa frammentazione e schematizzazione, un sentimento particolare: se il vitalismo rimane, come rimane la forza espansiva di una natura colta nel momento del suo maggior trionfo, esso viene come sopraffatto dal sentimento che tutto ricopre e pervade, dalla frantumazione che traduce un dissidio, un interiore rovello.
Questa natura è davvero una faccia di quel più vasto specchio, in cui si riconosce una generazione che ha avuto la ventura di nascere in un dopoguerra difficile, quale fu quello seguito alla prima guerra mondiale, vivere la fanciullezza sotto un regime oppressivo, vivere la giovinezza nel disastro di una nuova guerra che nessuno voleva.
Per questa via, anche l’autore di paesaggi, quale è stato Bruno Scaglia, appare in una chiave di lettura più alta; a volte si lamentava che gli rinfacciassero quest’unico tema, con il sottile scopo di gettargli in faccia una improponibile incapacità a produrre altro. Scaglia ha rappresentato paesaggi per scelta, si è immerso nella natura che conosceva all’interno del suo mondo contadino, ma attraverso quella natura ha espresso le inquietudini di un mondo urbano che andava espandendosi, drammaticamente eliminando quel contadino che era in lui, tragicamente frantumando quella natura di cui avverte ancora il fascino, ma di cui avverte anche l’incombente fine.”

Il critico Mauro Corradini - in data 18 Dicembre, sul quotidiano Bresciaoggi - ricorda la figura di Scaglia e scrive:

“Ho avuto il privilegio di presentare, tra il 1984 e il 1995, le tre ultime mostre di Bruno Scaglia (Pontevico 1921-1996): le prime due furono antologiche, variamente configurate; l’ultima una rilettura dell’ultimo decennio. Sono state le mostre che il suo Comune natale (attraverso l’assessorato alla cultura) ha voluto dedicargli; mostre […] sufficienti a rileggere un cammino artistico che appare significativo in questo secondo dopoguerra.
Scaglia si affaccia all’arte dopo aver trascorso la giovinezza in Russia, in una campagna militare non certamente felice per il nostro esercito; al ritorno, durante il recupero fisico in montagna, riprende i pennelli verso i quali aveva fin da giovane mostrato una particolare predilezione; e forse, senza la vicenda che aveva minato il suo fisico, non ci sarebbe stata quella scelta, che diverrà decisiva.
Si accosta al mondo dell’immagine copiando dal vero: curioso, tuttavia, più degli altri, e certamente dotato, osserva le immagini dell’arte che allora sembrava la più importante dell’ultimo secolo, quella dell’impressionismo e, soprattutto, del post-impressionismo. Su questo cammino rimane ancorato fino agli anni Cinquanta: è la stagione in cui fa crescere e lievitare la sua ricerca; allaccia relazioni, stringe amicizie (Cenedella, soprattutto), frequenta il mondo artistico bresciano e lombardo.
Tra le immagini che più colpiscono la sua immaginazione, vi sono quelle degli autori astratto concreti, come li definì Venturi nel 1952, gli autori che si erano staccati dalla rappresentazione verosimile e tuttavia non avevano completamente tagliato il cordone ombelicale con il mondo esterno [...].
L’accensione delle cromie [...] si faceva più viva [...] in direzione del paesaggio, che è il rifacimento esemplare della sua ricerca pittorica [...].
[...] il salto di qualità della pittura di Scaglia: dalla fine del decennio Cinquanta, la sua pittura esce dalla ricerca mimetica e si orienta in direzione informale, direi quasi «astratto-concreta», tanto evidenti sono i legami che Scaglia dimostra con la parallela e lontana ricerca del gruppo venturiano.
La scelta linguistica di Scaglia si basa inizialmente sulla frantumazione della forma, a tutto vantaggio dell’emozione e a tutto svantaggio della narrazione; con una evoluzione, che a metà degli anni Sessanta pare già stabilizzarsi, essa diviene definitiva. Scaglia non ritorna più sui suoi passi; a volte modifica l’impianto del suo procedere, chiudendo l’immagine nel solo primo piano; altre si sofferma maggiormente sul particolare, lasciando che il frammento di natura venga ad occupare tutta la rappresentazione. Lo sfondo viene meno: solo a volte, qua e là, compaiono frammenti di cielo.
Di certo, il confronto con la realtà non viene meno (e tutti a Pontevico, ricordano di averlo visto, in bicicletta, pedalare verso i campi, con gli strumenti del suo lavoro). Ma Scaglia è pittore colto, non ama l’en plein air: la natura rappresenta lo stimolo. L’elaborazione definitiva, la conclusione dell’opera si deve essenzialmente al lavoro in studio.
Si diceva che a metà degli anni Sessanta il suo modello linguistico può dirsi completato; è la stagione in cui inizia il lento isolamento dalla città.
[…] il suo ritiro a Pontevico è anche un abbandono degli entusiasmi che sembrano definire il primo ventennio della sua attività artistica.
Ha ormai ammiratori e collezionisti; non insegue il mercato. Si lascia, qualche volta, raggiungere.
Anche dal punto di vista della ricerca, l’isolamento aumenta l’intensità emotiva della sua produzione: le sue opere si trasformano in monologhi emotivi di straordinaria tensione.
[…] tutta la dimensione paesaggistica diviene una cascata di colori che sembrano trasformare il cielo in una pioggia scintillante.
[…] Il pittore crede nella natura, ne è affascinato, segretamente innamorato; ne accetta le regole, ne esalta il vitalismo. E la sua “poesia della natura” è un elogio della vitalità emozionale, che sembra tutto racchiudere in una immagine ad un tempo mentale e vera.
Nella solitudine della “sua” Pontevico, fino alla fine, ha continuato a produrre con una coerenza e un rigore, che fanno di ogni opera un piccolo evento di natura, scritto in quella sintesi pittorica, che era tipica del suo segno frammentato, della sua visione frantumata; dove non è difficile cogliere, nella frammentazione e nella frantumazione, i due termini di una metafora amara del quotidiano vivere, vitale e frastornante, come sembrano essere stati gli anni che Bruno Scaglia ha attraversato."

   
1999
Postuma antologica, tenutasi nella Villa Glisenti di Villa Carcina (Brescia).

La mostra è recensita - in data 6 Maggio - dal quotidiano Bresciaoggi, che (in un articolo firmato dal critico Mauro Corradini) scrive:

“A quasi tre anni dalla morte, un’antologica dedicata a Bruno Scaglia (Pontevico 1921-1996) appare operazione utile per un primo bilancio critico e per il ricordo di una figura tra le più significative del secondo dopoguerra bresciano.
[…] Scaglia […] già nella prima metà dei ’50 rifugge dalla ricerca realistica […]: scomposizioni formali, attraverso cui la visione della realtà è segmentata in una quantità di nuclei, particelle, bagliori di luce.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta Scaglia approda alla tendenza astratto-concreta e fa sue quelle rotture linguistiche che appaiono decisive al fine di ritrovare nell’immagine una tensione in linea con le ascendenze della modernità. La sua ricerca volge in direzione di quella spezzettatura della forma che appiattisce l’immagine - è la grande distanza, in una certa misura lo stravolgimento del cubismo - e ne individua solo alcune linee strutturali, frantumate, rotte, scandite in una molteplicità di figure geometriche, quadrati, rombi, rettangoli, cromaticamente in equilibrio.
[…] Il decennio fine Cinquanta - fine Sessanta rappresenta per Scaglia l’accostamento alla realtà, ridefinita su scansioni perfettamente bidimensionali, frantumate in una molteplicità di riquadri: è la stagione dei riflessi che sembrano in forma propria testimoniare i passaggi espressivi dell’artista bresciano.
[…] Poi, alla fine degli anni Sessanta, la svolta: la sua pittura abbraccia una nuova astrazione, stagione breve che aiuta Scaglia a liberarsi da quel primitivo modello per riattingere di lì a poco, già alla metà dei ’70, a differenti forme di paesaggio, scandite su ritmi che sembrano recuperare il passato, anche se parlano ormai una nuova lingua.
La natura è rivisitata in una sorta di rinnovato entusiasmo vitalistico, mentre la sua stessa tensione espressiva, ormai così caratterizzata stilisticamente, accetta di misurarsi con altre forme che vanno dal turbinio di segni sulla tela alla concentrazione di elementi, all’interno di un inquieto e frammentato mondo naturale: da una parte vengono emergendo intensità che rinviano a una individuale, tesa e vitale visione della natura; dall’altra il continuo frantumarsi della forma e lo spezzettarsi della pennellata, sua peculiarità stilistica, non fanno che sottolineare quell’inquietudine che sembra definire la sua solitaria interpretazione della vita.”

   
2005
Postuma antologica, tenutasi nel Palazzo ex Biblioteca Comunale di Pontevico (Brescia).

Il 19 Marzo, giorno dell'inaugurazione, la postuma è annunciata dai quotidiani Giornale di Brescia e Bresciaoggi; quest'ultimo - in un articolo intitolato Pontevico ricorda Scaglia il pittore per antonomasia - scrive:

"A nove anni dalla scomparsa del pittore Bruno Scaglia il Comune di Pontevico rende omaggio all'artista con una mostra allestita al Palazzo della ex biblioteca [...]. L'esposizione attinge alla totalità del percorso creativo dell'artista pontevichese, annoverato dalla critica tra gli artisti bresciani più significativi del secondo dopoguerra: accanto ai dipinti più noti saranno esposti degli inediti come gli olii «Motivi sottomarini» del 1957 e «Ricordi di Monterosso» del 1976, nonchè una ricca serie di acrilici e di pastelli ad olio, tutti eseguiti alla fine degli anni Settanta [...]."

Il quotidiano Bresciaoggi - in un articolo intitolato Scaglia, omaggio doveroso. Successo per la mostra dedicata al compianto artista - in data 27 Marzo scrive:

"Grande successo sta riscuotendo a Pontevico la mostra sull'opera del pittore Bruno Scaglia aperta in Piazzetta Garibaldi fino al 10 aprile. «Ogni giorno decine di persone provenienti da tutta la provincia e non solo vengono a visitare la mostra - ricorda il sindaco Primo Generali - e anche il giorno dell'inaugurazione, il 19 marzo, c'erano più di cento persone».
La mostra è un "doveroso" omaggio che il Comune di Pontevico rende al suo artista, a nove anni dalla sua scomparsa (il 25 luglio 1996); artista così attaccato alla sua Bassa da ricordarla, sotto algebriche forme ed esplosioni di colori, in tante sue opere. L'esposizione assembla diverse tappe artistiche del pittore, che la critica nostrana ha collocato tra gli artisti bresciani più significativi del secondo dopoguerra: accanto ai dipinti più noti si possono trovare inediti gentilmente concessi dalla famiglia, come gli olii "Motivi sottomarini" del 1957 e "Ricordi di Monterosso" del 1976, ma anche decine di acrilici, di pastelli ad olio, di lavori a china tutti eseguiti alla fine degli anni Settanta.
[...] Scaglia è artista eclettico: spazia dalla china all'olio, dall'acrilico al pastello; le sue opere piacciono anche all'occhio inesperto perchè riescono a instillare emozioni, quel senso dell'"artistico" che forse riposa nel grande inconscio collettivo di tutti quanti."

La postuma è recensita - in data 31 Marzo - dal quotidiano Giornale di Brescia, che (in un articolo firmato dal critico Fausto Lorenzi) scrive:

"Tempo di rivisitazioni di pittori bresciani scomparsi. [...] Pontevico dedica nella Sala Civica (ex Biblioteca) un’antologica al suo Bruno Scaglia (1921 - 1996), con una quarantina di opere. Quando nel 1958 in città la Galleria Alberti propose la prima vera personale di pittura di Scaglia (era stato allievo dello scultore Lusetti, ma tornato dal fronte russo patì gravi problemi polmonari), Elvira Cassa Salvi accolse il suo astrattismo come una rivelazione schietta, «naturale e istintiva». E sempre poi accompagnò con emozione le mostre dei suoi dipinti di sfaccettatura raffinata e preziosa, «sgranati come cascate di cristalli variopinti … da guardare come una fiamma alla luce».
Di fatto, dopo essersi esercitato alle soglie degli anni ’50 nell’interazione di forme fluttuanti e linee dinamiche, sulle filigrane dell’impeto lirico del Kandinskij anni Dieci e Venti, e su forme postcubiste del Fronte Nuovo delle Arti, dall’assimilazione dell’esperienza astratto-concreta [...] ecco che Scaglia si orientò decisamente sulla concezione della pittura come mappa energetica.
[...] Da allora Scaglia cercò sempre di trascrivere il paesaggio sul piano della memoria in forme aperte, dinamiche, in colori carichi d’energia evocatrice, senza mai perdere - la sua miglior qualità - un senso denso, anche sensuale, d’impasto germinante, di terra, germogli, alberi, stagioni. Più tardi si sarebbe precisata la sfaccettatura prismatica, ora più astratta nella trasfigurazione lirica della natura attraverso frazionamenti e rifrazioni di forme [...], ora d’immersione palpitante, talora persino vorticante (dal futurismo alla action painting) a catturare increspature e orme degli elementi naturali e sensazioni dell’atmosfera.
Da allora convissero lo Scaglia che pare farsi quasi acre, rauco o lancinante, e lo Scaglia che s’effonde più sommesso, lirico, vagante, e pare ascoltare voci che vengono da una natura lontana, straniata. C’è una trama che costruisce e insieme tiene spezzata la composizione, aperta a nuovi incontri violenti o ad echi vaghi e fluttuanti. Sempre i dipinti (prevalgono oli e pastelli) cercano di non alludere ma di porre la propria esistenza, facendo fluttuare il colore in una spazialità respirante, talora ansimante.
Va riconosciuto a Scaglia un sentimento autentico del respiro nella natura, da consumarsi sino in fondo, tra vitalità e deperibilità delle cose, in un mistero brulicante che frantuma lo spazio e dilaga per tutto il quadro (in realtà la tavolozza rutilante di scaglie luminose ed efflorescenze frastagliate è ancorata a salde strutture segniche, nel contrappunto tra la spatola e la trapunta divisionista).
Una ragnatela ritmica che nasce e si sfalda palpitando nella luce."

   
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