Pittori bresciani protagonisti della pittura del '900 Pittura moderna e contemporanea.
LE MOSTRE A BRESCIA  
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Bengt Lindström
La verità della materia

dal 1/10/05 fino al 31/10/05
presso Galleria L'Incontro


''Credo che l’idea del pittore sia sorprendere il proprio spettatore, perturbarlo sino a mostrare, o meglio, risvegliarlo mostrandogli che ci sono altri uomini i quali immaginano mondi sconosciuti, e si tratta di mondi costruiti, mondi necessari all’uomo per fuggire questa vita triste, materiale, che egli stesso ha creato''.
Così Bengt Lindström dichiarava, nel 1998, a Eva-Britt Tiger (Lindström, Fragments, Paris), indicando da subito la propria vocazione primaria a un’arte non legata a modi e gusti decennali, bensì a una ricerca profonda, radicale, in ultimo inattuale, del valore definitivo.
Certo, le cronache ce ne raccontano gli esordi, in questa mostra ben documentati da alcuni lavori preziosi. L’apprendistato con André Lhote e Fernand Léger, dunque in seno al clima scaturito da Abstraction-Création, ma forte di sapienziali venature puriste. Il confronto serrato con la “nuova tradizione” francese, che mira a reinnestare sul primario tronco cubista – e d’un cubismo che Braque e Picasso hanno declinato verso più cantabili e sensuosi classicismi figurali – germi di accelerazione espressiva, di scarto eccitato dal figurare ordinario, in cui non poco conto ha la lezione surrealista.
Ecco, dunque, opere come Natura morta, 1950, e Famiglia di pescatori, 1951. La Natura morta mostra, sulla tettonica brusca e declinante, quanto la lezione sapiente del ton moyen braquiano agisca ancora sulle generazioni giovani del dopoguerra, pur in presenza di un dipingere sprezzato, dalle coloriture disagiate. Nella Famiglia di pescatori il cadenzarsi degli incernieramenti rettilinei e degli andamenti curvi regge un gioco sottile, cautelato ancora, di tonalità, ma già emotivamente accentuato.
Viene poi, al volgere del decennio Cinquanta, l’avvicinamento a Cobra, dunque l’adesione esplicita, per lui svedese in cerca di poggiature identitarie non provvisorie, all’area sperimentale nordica di più programmatica rottura.
Va detto subito che, del milieu Cobra, dal quale non casualmente Lindström mantiene sempre una certa autonoma distanza, all’artista non interessa tanto la spinta avanguardistica, la collocazione militante, quanto piuttosto la prosecuzione e l’amplificazione di alcuni preziosi temi annunciati dal surrealismo, mai adeguatamente svolti nella concitata stagione prebellica e bellica.
Dunque, poco o nulla importa a Lindström dell’engagement rivoluzionario, e molto invece dell’estremizzazione dell’automatismo surreale che si legge nel Discours aux pingouins con cui Asger Jorn inaugura il primo numero di ''Cobra''. Se, come voleva Tristan Tzara, ''il pensiero si fa nella bocca'', più ancora – e comunque non meno – che la dismisura e la deriva psichica del paradigma bretoniano importa l’identificazione senza mediazioni di agente e agito, del corpo/materia dell’artista con la materia/corpo della pittura, in un travaso energetico la cui fisicità sia cruciale.
L’elemento fisiologico, e di oscura impadroneggiabile formatività dell’immagine, è fattore al quale Lindström, al pari di Jorn e di Appel, attribuisce un valore ulteriore di veridicità, di autenticità fondamentale che restituisca, anche, una sorta di ethos originario alla pittura.
Nipote di uno sciamano, partecipe egli stesso di quella sapienza, egli affronta la genesi delle immagini come una sorta di esperienza iniziatica, di radiante momento prelogico in cui la verità è della materia, intimamente connaturata al suo farsi, e dell’artista il ruolo di complice del rito di formazione. Tale verità, perturbante, Unheimlich, è davvero un mondo altro, del quale l’artista si fa tramite e per altri versi attore, in quanto interprete del rituale di manifestazione di un essenziale.
Il materismo informale, le proverbiali ma per certi versi retoriche''due tonnellate di color'' di Alechinsky, non valgono dunque per Lindström come dissoluzione épatante del ben fare pittorico, bensì come materia viva dell’immagine che si genera per via di energia, fisica e psichica, la propria stessa e quella dell’artista. Non, dunque, la materia e la forma antagoniste e l’artista creatore, ma una materia in sé libera, un formarsi, e l’artista tramite attivo.
Da queste consapevolezze, che maturano appieno in Lindström dagli anni Cinquanta, muove tutta la sua lunga, fervida operatività. Assumiamo a esempio, tra le opere scelte da Erminia Colossi per questa mostra, Nyfiken, 1969, Slagsmalet, all’incirca coevo, e il poco più tardo Due figure.
Le figure, i corpi, non sono collocati in uno spazio, non lo abitano. Essi sono lo spazio stesso, ne sono la qualificazione intrinseca, sino al punto da forzare visibilmente i bordi convenzionali, in una suggestione di espansione ulteriore. L’artista lascia fluire le concitazioni impure delle materie spesse, consistenti, turgide addirittura, che si decidono in andamenti lineari forti e bruschi, come per urgenza genetica. E’ il rosso erotico e fragoroso di Nyfiken, così come il grigio contaminante i bianchi, impuro e carnale, di Slagsmalet.
E’, in Due figure, il contendere potente di un rosso dalle alte temperature e d’un giallo virato entro un pennelleggiare curvilineo eccitato sino alla trance. Le figure si manifestano in sintesi essenziale, come ancora attorte nella memoria d’un grumo nucleare di materia, ora tese in movenze estatiche, quasi che il rivelarsi alla luce, all’aria, fosse memoria stupefatta d’una luce definitiva, d’un essere altrimenti puro. ''Lindström – ha scritto la sua indagatrice oggi più continua, Françoise Monnin – non rappresenta il mondo che lo circonda, presenta le forze vitali che ciascuno di noi custodisce nel profondo del proprio essere. Quelle cui dobbiamo le nostre angosce notturne, i nostri godimenti estremi, la nostra insistenza a perpetuarci senza sapere il perché. Quelle che guidano i nostri istinti''. Dunque, non un figurare ma un figurarsi, magmatico e cieco, che conosce l’estasi del formarsi sulla catastrofe della forma saputa. Tra estasi e catastrofe, la pittura di Lindström.
Flaminio Gualdoni
Testo tratto dal sito www.galleria-incontro.it

Dalle 16 alle 19, sabato e festivi dalle 10 alle 12 e dalle 15.30 alle 19; lunedì chiuso.
Ingresso gratuito.








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