Pittori bresciani protagonisti della pittura del '900 Pittura moderna e contemporanea.
LE MOSTRE A BRESCIA  
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Dario Neira - Semeiotical Skins

dal 24/9/05 fino al 19/11/05
presso Fabio Paris Art Gallery


I lavori di Dario Neira nascono dal desiderio di parlare dell’uomo nella sua essenza e sacralità, senza fraintendimenti, riferimenti d’identità, genere, status, ruoli.
Parlarne coralmente, senza rappresentare l’unità ma la moltitudine, senza mostrare alcuna specifica inclinazione emotiva cioè rappresentandole tutte.
Niente nell’essere umano è più profondo della pelle: prelievi random di PELLE mappano il corpo realizzando dei fini ritratti mentre ingrandimenti di essa, quale pars pro toto, hanno un effetto semplificante che porta ad un corpo primordiale, privo di riferimenti culturali e di equivoci semantici.
La frammentazione delle carni come tentativo di cercare una radice comune e unificante, per negare l’identità fisionomica e diventare moltitudine urlante collettivamente le proprie angosce.
E’la PAROLA, con il suo dictum preciso ed appariscente che perviene alle sensazioni conclusive delle opere, ponendo domande e ottenendo ragioni.
Come nel coro greco, in un rituale esoterico o in uno slogan di corteo, il significato ne risulta esasperato, la parola diventa performance-enunciazione.
Alla sua prima personale, l’artista torinese propone una riflessione sul corpo, la frammentazione e l’individualità. Lavorando, con delicatezza e sobrietà, con la pelle e i suoi linguaggi. Senza mai portare oltre la superficie, che parla dell’uomo, della sua storia e delle sue fobie... La pelle è superficie, esteriorità, mancanza di profondità; 'epidermico' è sinonimo di superficiale, vago, esteriore.
Eppure, la pelle porta i segni del tempo, rivela (con i suoi tatuaggi e le sue cicatrici) la storia di un individuo, i suoi drammi e le sue gioie; ne tradisce, sbiancando o accendendosi, accapponandosi o corrugandosi, le emozioni più profonde.
Una pelle abbronzata o incartapecorita, vellutata o opalescente, screpolata o sepolta sotto uno spesso strato di fard dice spesso ciò che altri dettagli nascondono; ed è la pelle, percepita col tatto o con la vista, a ritornare spesso nei ricordi: il ricamo di capillari sul naso del nonno, la superficie ispida della guancia di papà, le mani profumate della mamma.
Infine, la pelle è linguaggio: linguaggio del corpo, comunicazione chimica e gestuale, e, perché no, verbale: "Il verbo si fece carne e venne in mezzo a noi".
Citando all'inverso questo passo di Giovanni, Dario Neira propone, nell'opera centrale della project room allestita negli spazi della Fabio Paris Art Gallery (John I, 14), una suggestiva dichiarazione di poetica: la pelle, fotografata nelle più diverse condizioni di luce, ingrandita e ricomposta in un collage che riempie il corpo del testo, si fa linguaggio, espressione, racconto; e la parola arriva a gridare ciò che la pelle può dire solo in maniera silenziosa, ne trasforma l'autismo in espressione libera, quasi gioiosa.
La paura raramente riesce a trasformarsi in un grido, a liberarsi in un flusso di parole: per lo più è sudori freddi, battito accelerato, pelle sbiancata e brividi. Con Fear, la paura immagazzinata in decine di epidermidi diventa un urlo colorato, che esplode al centro della parete e si ramifica sul pavimento nelle diverse Phobiae (2003): le ansie che condizionano la nostra vita quotidiana, incastonate al centro di minacciose spranghe di ferro che alludono alla violenza di cui spesso la pelle diventa testimone involontario, nella forma di escoriazioni ed ematomi, lesioni e cicatrici.
In tutte queste opere, la pelle testimonia di una moltitudine, ma non di un corpo collettivo: ogni frammento, diventato oggetto di indagine, dichiara con fierezza la propria individualità, la propria appartenenza ad un organismo non ripetibile. Un orgoglio che traspare anche dalla monumentalità di Selfportrait (ME), un autoritratto in cui la pelle racconta, attraverso le stratificazioni della base in legno, il proprio passato, la propria storia biologica.
Nascondendosi dietro una campionatura della sua stessa pelle, Neira si rivela interamente: e lo fa evitando ogni introspezione, mostrandoci quello che già vediamo.
Un uomo grigio, come dichiara il sottotitolo, ma il cui grigiore è il risultato di una storia di cui possiamo leggere le accelerate e le fratture: e la cui identità nasce da tutte le pelli cambiate in passato.
Domenico Quaranta
Testo tratto dal sito www.fabioparisartgallery.com

Vernissage sabato 24 settembre alle ore 18.00.








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