Pittori bresciani protagonisti della pittura del '900 Pittura moderna e contemporanea.
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Il volto di Saulo

dal 12/9/09 fino al 8/11/09
presso Museo S. Giulia


Comunicato stampa

Qual era il volto di San Paolo? E quanto, nella rappresentazione dei suoi tratti fisiognomici, si trasse dai modelli iconografici ispirati ai filosofi? Quanta verità o quanta rielaborazione culturale incisero sulle fattezze dell’Apostolo delle genti?

A conclusione dell’anno paolino, lo scorso giugno è rimbalzata su molti giornali la notizia di una sensazionale scoperta compiuta durante un restauro nella catacomba romana di Santa Tecla sulla via Ostiense. Il laser ha fatto riemergere un affresco del IV secolo d.C. con il volto inconfondibile di San Paolo, chiamato anche Saulo o Apostolo delle genti.

Egli viene raffigurato, a partire proprio dal IV secolo, e per l’intero medioevo, con un viso allungato, la barba aguzza, quasi calvo, il naso aquilino, gli zigomi sporgenti, lo sguardo ispirato ed espressivo; questa fisionomia era frutto di pura immaginazione o corrispondeva realisticamente a quella dell’Apostolo?

Č presumibile che la fisionomia tradizionale gli corrispondesse realmente. In età paleocristiana era viva la preoccupazione di dimostrare che il cristianesimo non era una religione del popolo incolto. In questo senso San Paolo impersonava il filosofo, l’autore delle Lettere, il doctor gentium. Così la raffigurazione del suo volto tende ad accentuare certi caratteri di pensosità che si ritrovano anche in alcune opere di scultura, e in particolare nelle teste di marmo del Museo Ostiense, del 240-260 d.C., nelle quali è stato riconosciuto il ritratto del filosofo pagano Plotino.

Nella mostra di Brescia, che intende evidenziare alcuni punti fermi dell’iconografia paolina con nove capolavori che attraversano il periodo compreso tra il IV e il XVII secolo, è presente la più bella fra le teste del museo Ostiense, messa a confronto con alcuni esemplari paleocristiani raffiguranti San Paolo, tra i quali la lucerna in forma di nave, di Firenze, e il bronzetto del Museo Archeologico di Cagliari.

La lucerna di bronzo dell’Archeologico fiorentino, proveniente dalle antiche collezioni medicee, raffigura, su una navicella, simbolo della Chiesa, Pietro a prua con la mano sollevata nell’atteggiamento dell’orante, e Paolo seduto a poppa che muove con grande disinvoltura il timone. L’Apostolo è riconoscibile chiaramente dal profilo con il naso aquilino, la barba aguzza e l’espressione intensa.

Nel San Paolo stante del Museo Archeologico di Cagliari, unico al mondo, l’Apostolo delle genti è in piedi con la mano aperta nell’atto di pregare e il rotolo nella sinistra che richiama le Lettere. Questo bronzetto ricorda i tratti del volto del filosofo di Ostia, a distanza di oltre un secolo, a riprova del fatto che la tipologia paolina aveva ormai assunto la sua piena caratterizzazione.

Pietro e Paolo, assisi e vestiti con il pallium e la tunica bordata, come due filosofi dell’antichità che conversano fra di loro, compaiono sullo stupendo vetro dorato dei Musei Vaticani, proveniente da una catacomba di Roma.

Ancora insieme, i due Apostoli principi della Chiesa sono ai lati di un giovane Cristo imberbe nella Lipsanoteca (reliquiario) del Museo di Santa Giulia di Brescia. Questa cassetta è considerata forse il più prezioso avorio paleocristiano. Venne intagliata probabilmente in un atelier milanese intorno al 380 d.C. e presto custodita a Brescia nel monastero di San Salvatore.

La raffigurazione è eccezionalmente ricca di particolari che si rifanno al Vecchio e al Nuovo Testamento. Non è un caso che gli Apostoli Pietro e Paolo siano a fianco di Cristo e che siano collocati sul lato principale di questo oggetto degno di meraviglia.

Il perdurare della tradizione iconografica paolina nel 1400 è attestato dalla tavola con San Paolo, facente parte del trittico di Antonio Vivarini, già nella chiesa di San Pietro in Oliveto a Brescia. L’Apostolo, che tiene in mano la spada allusiva al suo martirio, concentra una forza di espressione quasi totemica; ancora vi riconosciamo i tratti del volto corrispondenti all’iconografia antica.

Dalla linea del pensiero a quella dell’azione, dall’apostolo filosofo al cavaliere disarcionato dalla potestà della luce divina.

Il tema iconografico più diffuso nel Rinascimento e nel Seicento è senza dubbio quello che illustra l’episodio della conversione sulla via di Damasco, quando Saulo, persecutore dei cristiani, viene sbalzato da cavallo a terra e inizia la nuova vita del difensore della fede cristiana.

Tra le innumerevoli rappresentazioni della Conversione di Saulo, in questa mostra spiccano due degli esempi più celebri: quella di Moretto, precedente diretto di Caravaggio, databile intorno al 1540, e quella di Ludovico Carracci, del 1587-88, anticipatrice di scenografiche soluzioni barocche, per la coralità di tutti coloro che assistono all’impetuosa chiamata.

Il ritorno a Brescia della tela di Moretto va considerato un evento, dato che, prima di oggi, il quadro, nella città lombarda, fece una fugace sortita solo nel 1939, settant’anni fa, nell’ambito della grande mostra monografica dedicata al pittore. Nel dipinto Moretto giunge al vertice della sua capacità di interpretazione in chiave naturalistica di questo episodio, non nascondendo palesi richiami ai modelli raffaelleschi, specialmente nel particolare della chioma ricciuta e della testa ben modellata di Saulo.

Anche Ludovico Carracci interpreta quanto accadde sulla via di Damasco con una sensibilità naturalistica, ma è forse l’aspetto più coralmente scenografico a imporsi, mettendo in evidenza lo scompiglio che si scatena intorno all’Apostolo.

Al martirio di Pietro e Paolo è dedicata la tela di un pittore “lombardo” del primo Seicento, Giovanni Serodine, geniale seguace di Caravaggio a Roma, morto a trent’anni.

Serodine raffigura la separazione sulla via Ostiense dei due santi che vengono condotti al martirio. Costoro si scambiano un ultimo penetrante sguardo, che condensa in sé tutta la forza di una comunione di intenti, e di una vita spesa con indomito slancio ideale. I bagliori che si levano dalle aste degli aguzzini ricordano con pari drammaticità quelli della Cattura di Cristo nell’orto di Caravaggio, oggi a Dublino.








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