Pittori bresciani protagonisti della pittura del '900 Pittura moderna e contemporanea.
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Mondrian
Ottanta capolavori (a cura di Marco Goldin e Fred Leeman)

dal 28/10/06 fino al 9/4/07
presso Museo S. Giulia


Comunicato stampa

Ha i contorni della straordinarietà questa mostra che raccoglie ottanta capolavori di Mondrian, in buona parte eccezionalmente concessi in prestito dal Gemeentemuseum dell’Aia.
Eccezionalità che deriva dall’assoluta qualità delle opere esposte e dall’essere la prima esposizione italiana che illustra, nella sua distesa completezza di percorso storico, l’intera opera del grande pittore olandese. Con una prevalenza per il periodo precedente il celeberrimo cammino astratto di Mondrian, e che i due curatori, Marco Goldin e Fred Leeman, hanno volutamente desiderato porre in maggiore evidenza.
Poiché sconosciuto certamente alla maggioranza del pubblico, ma poco noto anche a coloro che, pur appassionati, non hanno avuto modo di visitare proprio il museo dell’Aia che ne custodisce la quasi totalità degli esempi.
Sarà quindi un’assoluta sorpresa, e crediamo colma di emozione, la visita alla mostra di Mondrian, soprattutto per questa parte figurativa che occupa quasi un quindicennio, prima di giungere, al principio del secondo decennio del secolo XX, a quel punto stringente di passaggio che, attraverso il tema dell’albero, congiunge mano a mano la descrizione della natura all’astrazione sempre più geometrizzante.
Con un percorso non dissimile rispetto alla mostra contemporanea sul paesaggio, cui per questo non casuale motivo essa opportunamente si affianca nel territorio novecentesco.
Quando si parla di Mondrian si è appunto soliti pensare alle sue figure geometriche: strisce nere che intersecano piani bianchi, linee che delimitano quadrati rossi, gialli e blu. Ed è stata questa la modalità stilistica che ha connotato la sua pittura negli anni venti.
Da quel momento in poi, Mondrian è stato considerato uno degli artisti moderni più innovativi e ha suscitato l’apprezzamento di artisti, architetti, musicisti e critici, che gli hanno riconosciuto una rigorosa coerenza e la capacità di arrivare a delle soluzioni radicali sia nella vita che nell’arte.
Per Mondrian la pittura è il risultato di tre componenti fondamentali: forma, linea e colore, e ha come sola finalità la realizzazione della Bellezza. Bellezza non tanto come attributo della realtà ma come entità spirituale in se stessa.
Concetti centrali della mostra sono: “evoluzione” e “intuizione”. La selezione di opere si basa soprattutto sulla questione se un’opera sia stata esposta mentre l’artista era ancora vivo. Se ne potrebbe quindi dedurre che si trattasse di opere da Mondrian considerate importanti sia per il proprio sviluppo artistico, sia per l’immagine pubblica che desiderava dare di sé. Il risultato è una serie di lavori sorprendente non solo per l’evoluzione disciplinata che evidenzia, ma anche per il rigore dello stile. Mondrian sembra tentare sempre nuovi punti di vista e quando questi, nel tempo, non lo convincono più è capace di eliminarli senza troppi ripensamenti. Il concetto di “evoluzione”, a lui così caro, risulta non tanto dal passaggio disciplinato da una fase all’altra ma piuttosto da una costante eliminazione, e persino distruzione, delle soluzioni precedenti. In questo processo Mondrian attinge alla propria intuizione; intuizione che gli era necessaria poiché gli garantiva, nelle proprie scelte, un legame spirituale con la Bellezza. Come ha scritto in una lettera: “Quando si è alla ricerca di qualcosa non si sa mai bene prima come cercarlo.” L’esposizione parte dai suoi esordi come paesaggista, nel filone del realismo tradizionale olandese della Scuola dell’Aia, anche se con una pittura di atmosfera già personale.
In seguito, gradualmente, Mondrian ha ridotto i suoi paesaggi sempre più a colori e forme, e ha sviluppato una predilezione per il crepuscolo, momento in cui sono i contorni, e non tanto gli oggetti, ad avere più significato.
All’inizio del XX secolo, si è avvicinato ai principi della teosofia che professava l’esistenza di un’unità tra le religioni, e che aveva come finalità l’armonia tra interiorità e mondo esterno. In questa prospettiva, l’opera d’arte potrebbe rappresentare il passaggio a piani più sottili di realtà, e guidare “in un percorso che si eleva dalla materia”, come diceva Mondrian stesso.
Il luminismo – versione olandese del fauvismo – gli indicò il modo per svincolare il colore dai suoi riferimenti naturali in una serie splendida di alberi, e reitera in modo ripetitivo uno dei suoi motivi preferiti: la personificazione – verticale – del simbolo della vita, che lotta per resistere al caos – orizzontale – della morte. È evidente che la strada percorsa da Mondrian, verso una geometrizzazione delle forme, era essenzialmente diversa dalla ricerca cubista, che pure l’aveva influenzato a Parigi, negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale. Mondrian non considerò mai l’arte come un esercizio puramente visivo o formale e il suo modo di pensare – mai del tutto svincolato dal retaggio culturale e religioso olandese – gli rese impossibile separare la forma dal suo significato spirituale e persino morale.
Costretto a rimanere in Olanda durante la guerra, fu qui che portò a pieno compimento la sua ricerca verso l’astrazione in una serie stupefacente di lavori. Di alcuni di essi rimarcò la concretezza appendendoli come rombi. Ma persino in questi quadri-scacchiera così radicali, è evidente il suo desiderio irresistibile di affidarsi a variazioni intuitive e minime rispetto ai principi-base che regolano la sua pittura.
Alla fine della sua carriera, quando la sua opera neoplastica era considerata una delle manifestazioni più radicali dell’arte astratta, egli continuava ad asserire di essere sempre stato un realista. Le forme astratte, che aveva iniziato a usare alla fine della sua vita, le considerava reali e capaci di rappresentare la Bellezza in una forma ancora più concreta di quella presente in natura.
La peculiarità di Mondrian non fu solo la sua capacità di realizzare una sempre maggior purezza meditata della linea pittorica, portando questo processo alle sue conseguenze più estreme. La sua grandezza fu anche il suo continuo rinnovarsi, accettando di distruggere i principi precedenti, malgrado questo potesse significare rimettere in discussione la funzione da lui attribuita alla linea.
“Credo che l’elemento distruttivo sia per lo più trascurato nell’arte”, così afferma pochi giorni prima di morire, il 1° febbraio 1944 nella sua casa di New York. L’artista settantaduenne non era soddisfatto del quadro che aveva sul cavalletto: “C’è ancora troppo da togliere in questo quadro”.
Sebbene le sue composizioni “neo-plastiche” diano a prima vista un’impressione di severità, di costruzione matematica, è vero il contrario. Se guardiamo attentamente la sua pittura vediamo linee nere con variazioni sottili dello spessore, campiture grigie, diverse per luminosità, colori primari stesi con una varietà attenta di pennellate orizzontali e verticali.
L’unico orientamento nel comporre linee, piani, colori gli veniva dalla sua intuizione. Alcuni suoi lavori non finiti evidenziano, dai tratti a carboncino, il suo tentativo di raggiungere l’armonia compositiva. Eseguiva degli schizzi fino a quando non sentiva di aver raggiunto un risultato soddisfacente. La separazione artificiosa, che spesso si è soliti fare tra emozione e ragione, è smentita dall’arte di Mondrian.
Quest’uomo, che considerava le striscie di vegetazione che separano le stradine di Park Avenue un’intrusione deplorevole della natura nel paesaggio urbano, amava Disneyland e amava ballare al suono di ritmi jazz provenienti dal suo grammofono.

ORARI: Da lunedì al giovedì ore 9-19
Venerdì e sabato 9-21
Domenica ore 9-20
Chiuso 24, 25, 31 dicembre 2006
1 gennaio 2007 ore 11-20








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