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Seamus Murphy
A darkness visibile: Afganistan

dal 13/12/08 fino al 25/2/09
presso Museo Ken Damy di fotografia contemporanea


Comunicato stampa

La verità dell’Afghanistan è custodita dal popolo afgano e Seamus Murphy gli riconosce tutta la sua magnificenza.
Dopo l’opera meticolosa e suggestiva perseguita per così tanti anni per giungere al cuore della faccenda, Murphy non si lascia scoraggiare dalla guerra in Afghanistan.
Non può farlo. La guerra fa parte integrante dell’esperienza afgana proprio come le stagioni, le montagne e il tempo.
Questo paese è la terra natale di milioni di racconti di guerra che, fondendosi alla storia, vengono a costituire una lunga saga.
Ma i racconti di guerra non sono altro che la storia della gente o dei popoli, dei loro fallimenti, punti deboli e punti forti e della loro lotta per continuare a vivere e mantenere la propria dignità di fronte alle sfide estreme poste dal conflitto. Murphy lo sa.
E capisce perfettamente. L’umanità essenziale di questa consapevolezza, associata al suo naturale impegno sull’argomento, si riflette in tutta la sua opera.
Nelle sue foto gli afgani appaiono sempre superiori a quella parte della loro vita che è la guerra.
Di recente l’Afghanistan è diventato un soggetto di grande attualità per gli editori che si interessano di fotografia e il rispettivo pubblico.
Gli attentati terroristici dell’11 settembre hanno riportato questo paese alla ribalta della consapevolezza occidentale.
Il successivo coinvolgimento degli eserciti degli alleati e della NATO in Afghanistan, la lotta contro Al Qaeda e i Talebani e la caccia ad Osama Osama bin Laden garantiscono che tale interesse possa continuare, almeno per un po’.
Il destino dell’Afghanistan è ormai legato alla sicurezza futura della gente in Europa e America.
Nei paesi occidentali, i leader politici e i capi militari ammettono candidamente che questo conflitto sarà un’esperienza decisiva che determinerà sia il risultato della guerra con i fondamentalisti islamici di tutto il mondo sia la sorte della stessa NATO.
Ci sono tutti gli ingredienti per fare di questo paese una meta ambita dai fotografi.
Ma non è sempre stato così.
Ben poco lasciava pensare che ci sarebbero stati tali sviluppi nella guerra afgana quando Murphy ha messo piede a Kabul per la prima volta, era il 1994.
L’Afghanistan era in preda a una guerra civile talmente violenta ed estesa che tutte le infrastrutture del paese erano implose.
Assolutamente distrutta, annichilita e rovinata, l’autorità centrale non c’era più.
Vigeva invece il potere delle armi e di chi le imbracciava.
Niente lasciava presagire che ci potessero essere cambiamenti imminenti.
Il coinvolgimento degli Occidentali in Afghanistan era finito nel momento in cui l’ultimo soldato russo aveva lasciato il paese, ben cinque anni prima.
Era una voragine, il vuoto, il buio. E nessuno avrebbe potuto immaginare che un giorno le vite quotidiane degli afgani potessero di nuovo interessare agli Occidentali.
Murphy ha continuato il suo andirivieni dall’Afghanistan, molto prima che il paese tornasse
a essere al centro della rinnovata attenzione degli editori, per motivi molto più semplici dell’investimento professionale.
Nonostante la vita dura, la sfortuna e le crudeltà, a Murphy piaceva quel posto e provava empatia per il suo popolo: apprezzava negli afgani le qualità di stoicismo, capacità di opporsi, belligeranza, senso dell’umorismo e speranza che li caratterizzano.
Nel corso di innumerevoli avventure intraprese nell’arco di 13 anni per portare alla luce l’indomito Afghanistan, sia umano che geografico, Murphy ha infranto la visione miope che si aveva di questo paese per rivelare i luoghi e i volti della gente, una guerra e una vita che altrimenti non avremmo mai avuto occasione di scoprire.
Alcuni viaggi nell’entroterra sono durati solo pochi giorni, altri hanno comportato settimane di trekking, spostamenti, rafting e cavalcate in condizioni spartane.
L’oscurità dell’Afghanistan non sta nel male o nella guerra, ma nel manto dell’ignoranza che avvolge la nostra comprensione di questo paese, una cecità che lo ha ridotto a poco più di uno sfondo per statistiche stantie, immagini trite e ritrite e frasi fatte su cui poggiano le fuggevoli notizie della stampa mondiale.
Pochi hanno cercato – e ancor meno sono riusciti a raggiungere il risultato che Murphy ha perseguito con la sua pazienza e persistente volontà di raggiungere lo scopo.
Molto più di un’abile testimonianza di un popolo, un’epoca e un luogo, la sua opera ha aperto la strada a qualcosa di più profondo ed etereo ed è riuscita a cogliere la più difficile di tutte le rivelazioni: lo spirito di un paese.

Anthony Loyd da Afterword in A Darkness Visible: Afghanistan, Saqi Books 2008.

la mostra rimarrà aperta fino al 25 febbraio 2009
se servissero delle immagini in alta definizione saremo ben lieti di fornirvele

per informazioni: tel 0303758370 dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30
e-mail info@museokendamy.com








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